Giudizio: di Dio su di me
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Mt. 21,34: "Mandò i servi a ritirare il raccolto".
Tu conosci Signore, l'ambizione dell'uomo fin da quando uscì dalle mani del Padre: fare a meno del Padre. Così poteva rinnegarsi come figlio e dichiararsi padre di se stesso. Salvami, Signore, dall'ambizione di bastare a me stesso!
Tu conosci il mio cuore, desideroso che nessuno si dichiari mio fratello, così che nessun fratello ardisca pretendere di spartire con me l'eredità della Terra!
Anch'io, Signore, mi sento padrone indiscusso della mia vita. Padrone, anzitutto, di quello che mi sono guadagnato, stipendio, pensione, prestigio: li ho sudati ed ora mi appartengono.
Padrone insindacabile del mio tempo: lo posso impiegare o perdere come voglio. Padrone del mio cuore: ne tengo gelosamente la chiave e domando passaporti, perforo a te Padrone della mia vita.
Una voce perversa risuona nel mio cuore, insinuando: "Io sono mio! Giù le mani dalla mia vita! Anche Dio. Anzi, Dio per primo!"
Mostrami, Signore, il disastro di me stesso nelle mie mani, incantami dell'audacia di abbandonarmi nelle tue!
Insegnami, Signore, il gusto di sentirmi "ispezionato" ogni sera dal tuo sguardo affettuoso e inesorabile, durante l'attimo preziosissimo dell'esame di coscienza.
E salvami dal mito contemporaneo, più volte richiamato da Papa Benedetto XVI, del relativismo assoluto, là dove l'uomo e perfino il singolo sacrificano sull'altare di una presunta libertà, l'esistenza stessa del bene e del male, del vero e del falso, riflesso di Dio. Come riconoscerci fratelli senza sentirsi figli di uno stesso Padre?