Attese: di Dio in concorrenza con le mie?
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Lc 14,26: "Chi ama
il padre e la madre più di me non è degno di me"
Vorrei avvertire Signore, una certa
concorrenza fra l'attesa di Te e le attese della mia vita, per guadagnarmi il
diritto di domandarmi come l'Apostolo Paolo se aspetto di più il momento di
correrti incontro e abbracciarti per sempre o se, invece, come potrebbe anche
essere giusto, m'impaziento di più per l'attesa delle persone che aspetto di
riabbracciare stasera.
Vorrei vivere le attese della mia piccola
vita come un inizio e un simbolo dell'attesa definitiva: l'attesa del pranzo
come attesa della tua tavola in cielo, con tutti quelli che a tavola non
sedettero mai; l'attesa che mi arrivi finalmente la pensione vissuta
nell'attesa che la pensione arrivi a tutti quelli che più di me ne hanno
bisogno; l'attesa di un mazzo di fiori per il mio compleanno, come simbolo e
anticipo dell'attesa del tuo giardino di eterna primavera.
Vorrei
domandarmi se traguardo l'attesa definitiva più dai momenti di scacco come
rivincita o più dai momenti di pienezza come attesa di una pienezza più ampia,
per me, per chi amo e per chi non è amato. In particolare vorrei misurare la
qualità della mia fede dalla ampiezza delle mie attese: attendo per me, per la
mia famiglia, per "i nostri" o attendo anche, emozionalmente e
fattivamente, per quelli che purtroppo non si aspettano più niente?
L'attesa quotidiana di Te, Signore, mi
farebbe ripetere l'invocazione dell'Apostolo Filippo "mostraci il Padre e
ci basta!" O meglio, "ci basti!" Ma dov'è che ti fisso il
"luogo romantico" per l'appuntamento soprattutto con te?
Forse ti aspetto: I°
nella preghiera solitaria, 2° nella comunione spirituale interpersonale, "contatti
d'anima", 3° nella pesantezza della malattia, 4° nel canto (Gregoriano),
5° nella mia conversione (es. l'esperienza del distacco), 6° nella preghiera di
sguardo, 7 nell'ascolto personale di una Parola, 8° nell'esperienza.
sacramentale del perdono, 9° nell' incontro con un uomo/donna di Dio, 10° nel
"ringraziamento" eucaristico..., 11° nell'esperienza di sentirci
visitati, perciò abitati, perciò venerabili, 12° nella sensazione di passività
della mia conversione, 13° nell'esperienza dell'abbandono più che nell'impegno
(nelle tue mani, Signore, affido l'anima mia... Padre mio mi abbandono a te! ),
fino a nulla desiderare, per me e per chi amo, più di un'attesa impaziente
della tua venuta nulla più della santità...! Chi sono impaziente di vedere in
cielo, più ancora che i miei familiari defunti: forse Te, Signore, forse gli
occhi di Maria, forse la turba di quelli che neppure in terra possono dire di
aver vissuto da uomini e donne, forse i Santi a cui più spesso mi rivolgo...
chissà!
Forse attendo
lassù la risposta alle infinite, importanti, assillanti domande che hanno
assillato la mia vita quaggiù, a cominciare dal mistero del dolore, fino a
domandarti il perché della tua indifferenza davanti ai drammi per i quali ti
abbiamo tanto invocato!
E insegnami a leggere nel davvero trafiggente
che poi lassù non ci sia nulla da aspettare, la prova della passione della mia
fede!