Il libero arbitrio e l'onniscienza divina
possiamo tenere da parte la definizione della Verità di Dio, magari potrà essere risolta con una delle prossime questioni.
Passando al libero arbitrio umano e l'onniscienza divina, esse sembrano in contraddizione se si pongono entrambe nel tempo.
Ciò però vale solo per l'uomo, mentre Dio, creatore dello spazio e del tempo per definizione, definito eterno e infinito per quanto possiamo concepire noi questi termini, conosce senza bisogno del tempo e in ogni tempo.
A Dio è piaciuto donarci il libero arbitrio nel tempo, ma al di là del tempo Egli conosce.
Insomma la contraddizione è vista solo in chi vede un Dio con le qualità umane, sottoposto alle leggi naturali.
Cosa rispondi e cosa proponi come successiva difficoltà?
La risposta di Gemini:
Assolutamente, la tua osservazione è molto pertinente e
tocca un punto cruciale nella discussione sul libero arbitrio e l'onniscienza
divina: la differenza tra la nostra percezione temporale e la natura
atemporale o trans-temporale di Dio.
Hai ragione nel dire che la contraddizione emerge
principalmente quando si applicano categorie umane (come il tempo lineare, la
causa e l'effetto sequenziale) alla conoscenza divina. Se concepiamo Dio come
un essere che esiste al di fuori o al di là del tempo, per il quale
"passato", "presente" e "futuro" non hanno lo
stesso significato che hanno per noi, allora la sua conoscenza non è una
predeterminazione nel senso umano.
In questa prospettiva:
- La conoscenza di Dio non è "prima" o "dopo" la nostra scelta. Non è che Dio "vede in anticipo" qualcosa che non è ancora accaduto per noi. Piuttosto, Egli "vede" tutte le nostre scelte contemporaneamente, in una sorta di eterno presente. È come se per Dio l'intera linea temporale dell'universo fosse visibile in un unico istante, senza che ciò implichi che le nostre scelte siano state dettate o forzate.
- Il libero arbitrio rimane intatto. La conoscenza di Dio non è una causa delle nostre azioni, ma una conoscenza di ciò che noi liberamente scegliamo. È un po' come un osservatore esterno che guarda un film: conosce l'intera trama e il finale, ma non è lui a far agire i personaggi; semplicemente, ne conosce le azioni. La differenza è che, in questo caso, l'osservatore è il creatore e sostenitore dell'esistenza stessa.
Quindi, la tua argomentazione suggerisce che la difficoltà nel conciliare libero arbitrio e onniscienza divina sorge da una limitazione della nostra comprensione concettuale, in particolare quando tentiamo di applicare i nostri schemi temporali a un'entità che trascende il tempo. Molte tradizioni teologiche affrontano questo problema proprio in questo modo, distinguendo tra la conoscenza "fore-knowledge" di Dio (intesa temporalmente) e la sua conoscenza "eternal knowledge" (intesa atemporalmente).
Cosa rispondo a questo? Riconosco che la tua spiegazione offre una solida risoluzione teologica al paradosso, eliminando la contraddizione per chi accetta la premessa di un Dio atemporale. Questo non rende l'argomento "facile" per tutti, perché la concezione di un'esistenza atemporale è essa stessa molto difficile da comprendere pienamente per la mente umana, ma certamente sposta il livello della difficoltà dalla contraddizione logica a una questione di comprensione metafisica.
A questo punto, possiamo passare alla prossima difficoltà,
che si lega un po' al discorso del "Dio nascosto" che avevamo
accennato e anche alla ricerca di prove:
La sfida della rilevanza e dell'esperienza personale in un mondo secolarizzato
Molte persone, soprattutto nelle società occidentali contemporanee, vivono in contesti sempre più secolarizzati, dove la religione non è più la forza trainante della cultura o della vita pubblica. Questo può portare a diverse difficoltà nel credere:
- Mancanza di esperienza diretta o percepita: In assenza di segni evidenti, interventi divini spettacolari o esperienze spirituali personali chiare (che pure sono soggettive), per molti è difficile sentire la presenza o la rilevanza di Dio nella loro vita quotidiana. Se Dio non sembra "intervenire" o "parlare", come si può credere in Lui?
- La narrazione secolare come default: La scienza, la tecnologia e il pensiero razionalista offrono spesso spiegazioni esaustive per molti fenomeni che in passato venivano attribuiti a cause divine. Questo porta a una visione del mondo in cui Dio non è "necessario" per spiegare l'universo o l'esistenza umana. La narrazione predominante spinge a cercare risposte altrove.
- L'assenza di un "bisogno" di Dio: Per alcune persone, la vita è soddisfacente e moralmente significativa anche senza una fede in Dio. Non sentono un vuoto che solo la religione può riempire, o non percepiscono un bisogno di trascendenza. Questo non è un rifiuto attivo, ma una semplice mancanza di risonanza con l'idea di Dio.
- La percezione dell'irrilevanza della religione: La religione può essere vista come qualcosa di antiquato, irrazionale o persino dannoso (a causa di conflitti storici, scandali, estremismi). Questo può rendere difficile per le nuove generazioni vedere la fede come una via valida o desiderabile.
Questa difficoltà non riguarda tanto un'obiezione logica o
filosofica all'esistenza di Dio, quanto piuttosto una questione di
percezione, esperienza e contesto culturale. In un mondo dove Dio non è più
l'elemento centrale delle spiegazioni o dell'identità collettiva, credere può
diventare una scelta più ardua e meno "naturale" per molti.
Cosa pensi di questa difficoltà? Ti risuona, o preferisci
passare a un'altra questione?
La mia replica nel seguito ...: